venerdì 21 gennaio 2011

Desiderio di essere acqua

Madina dopo poco scese dall'albero. Rimase qualche minuto in attesa poi d'improvviso si mosse; invece d'avviarsi alla casa deviò tra le querce, s'addentro nel bosco, ritrovò i sentieri dell'infanzia. I tronchi erano ancora rigati di pioggia recente, pareva che avessero pianto. Non si vedeva altro verde che quello molle del muschio in mezzo alle grosse radici e il cuore di Madina era un pò gonfio. Salì ancora, raggiuse il sommo del bosco, e là d'un tratto la sua anima fu sgombra ed ella uscì in un grido di gioia e lo udì echeggiare fra i tronchi. Non ricordava d'avere visto mai così ricco il suo ruscello neppure dopo gli sgeli delle primavere. Ora è quasi un torrente, ma l'acqua vi scorreva senza impeti, unita, con gorgoglio leggero. Si fermò a lungo a guardare. La superficie dell'acqua in un tremolio d'ombra e di luci era diventata una pelle viva, i raggi del mattino passando liberamente tra i rami nudi degli alberi andavano a pungerla un pò dappertutto. Madina fissava un punto dell'acqua e si provava a seguirlo ma l'inquietudine delle luci subito le faceva perdere il filo: l'acqua che è sempre quella e non è mai la stessa, come qualcuno le ha insegnato. Ogni raggio del sole, pensò, ferisce dunque a ogni momento un'acqua nuova; e forse ogni goccia così toccata dal sole è una vita tra le mille altre, eppure tutte insieme è sempre lui, uno, il ruscello mio. Questo problema la mette in agitazione. Dover dividere in frazioni infinite quella cosa unica e rara, il ruscello suo, la offende. Credere che lui se ne va via continuamente, lontano da lei, la sgomenta. Mise una mano nell'acqua, voleva capire, sentire al modo di quella massa mobile potente allegra, che esce di sotto il nero della rupe, arriva, passa sulla sua mano e se ne va; scende a svolte tutta la pendice, traversa il prato e trova il salto, precipita in mille scintille. Si rialzò. Seguì per un poco il corso giù per la china. Le prese una smania di sentirsi pungere dai raggi e brillare, correr via. Allora ricordò quando là dentro metteva le braccia. Si fermò, si strappò di dosso il vestito, stava per immeggerle; ma la colse un pensiero più grande. Si spogliò del tutto, rimase nuda come quell'acqua. Si carezzò le spalle, si passò lentamente le due mani sui lati del corpo, dalle ascelle al bacino. Scese nel rivo con una gamba, poi con l'altra; fece qualche passo sentiva nel fondo i sassi acuti, su altri scivolava, in mezzo a dolci brividi si scrollò di felicità. Poi piegò piano le ginocchia come volesse sedere sopra il pieno dell'acqua, invece vi profondò entro, ridistese le gambe, s'abbandonò. Ora il ruscello la culla, l'acqua la sorregge. Per un poco la tenne a galla poi la abbracciò intorno fino al giro del collo, e la faccia sporgeva come un fiore ridente. L'acqua sa davvero abbracciare, aderisce a ogni curva, modella ogni zona, ogni angolo, non c'è piega di te ch'ella non raggiunga con la sua diffusa carezza. Nulla al mondo sa abbracciare così. Anche l'aria t'avviluppa a quel modo, ma non la senti; invece il tocco dell'acqua ti sveglia, ti fa capire la tua forma, e manda i suoi brividi fin nel tuo profondo. E parla. Lungo il corpo di Madina il gorgoglio del rio si chiariva, si frangeva in piccole sillabe d'amore. Con amore l'acqua tocca il corpo di lei, lo avvolge e corre via e già l'altra è soppravvenuta e l'altra ancora, la delizia di Madina non ha mai sosta. Ma già tra la delizia scende un'ombra nel suo pensiero a turbare l'amore. Il mio ruscello m'abbraccia così, e io non ho modo di ricambiare l'abbraccio. Sono pesante, son limitata da tutte le parti, come potrà egli sconfinato e leggero continuare ad amarmi? per questo forse mi fugge? Chi m'insegna ad abbracciarlo? a fuggire con lui? a essere la cosa stessa che è lui? Allora accadde il miracolo. Parve dapprima a Madina che il suo corpo s'allungasse. L'acqua scorrevdovi intorno, dolcemente lo lima e assottiglia. Lei si sente tutta a poco a poco salire a fiore dell'acqua, eppure nulla del suo corpo ne emerge. Dov'è il corpo? poco fa chinando gli occhi lo vedeva trasparire di sotto il velo liquido, ora le sue forme vacillano, le linee sfumano, quel che era pallida carne non è più che un gioco di riflessi, inquietudine d'ombra e di luci, acqua. I raggi del sole vi si divertono, come più là, più qua, come tutt'intorno sull'altra, che ne sfavilla. Madina non sente più il tremolio del rio all'orecchio, sente sè vibrare insieme con tutte le infinite gocce che fanno la fluida forma dell'acqua, la forma sua: ella e l'acqua sono un solo murmure e scintillio lungo che scende. Non vede più l'acqua e i suoi bagliori, quel ch'era la vista di Madina è diventato un bagliore tra cento. Quello che fu il volto di Madina s'è sciolto in onde fresche di felicità. Neppure il nome di Madina c'è più, è uno dei mille mormorii di questo canto che corre in gioia giù per le svolte della pendice, incontra la luce aperta del sole sul verde, taglia il bel prato, vola sulla roccia, di colpo affronta il salto e precipita sotto tra lampi d'argento, si frange e spumeggia nel deserto piano laggiù, dove una donna era morta dando alla luce Madina.

Da L'amante fedele di M. Bontempelli